La precocità dell’inizio del percorso riabilitativo è di fondamentale importanza sia per la prevenzione delle principali complicazioni dell’allettamento, come la trombosi venosa profonda, l’embolia polmonare o le ulcere da decubito, sia per la ripresa funzionale. La trombosi venosa profonda è favorita dall’immobilità nel primo periodo post-operatorio e la sua prevenzione è soprattutto farmacologica, mediante la somministrazione di anticoagulanti, ma anche per compressione meccanica, mediante le pompe venose e calze compressive.
La riabilitazione inizia il giorno successivo a quello dell’intervento chirurgico. Si incoraggia la mobilizzazione precoce del ginocchio, per prevenire aderenze e favorire il ritorno venoso, attraverso 4 sessioni di mobilizzazione passiva continua (cpm con apparecchio Kinetec), con obiettivo i 60° di flessione. Dopo la sessione della durata di un’ora, si procede con il posizionamento del paziente a letto in completa estensione, crioterapia e applicazione delle pompe venose.
Dal secondo giorno post-intervento, il fisioterapista istruisce il paziente nei passaggi posturali e trasferimenti da svolgersi in autonomia. Viene inoltre incoraggiata la verticalizzazione con carico e deambulatore. Il paziente viene istruito nel corretto reclutamento muscolare del quadricipite e solo quando questo è stato appreso in maniera soddisfacente, può iniziare il lavoro di rinforzo muscolare isometrico a gamba tesa, senza compensi dell’ileopsoas e dei glutei.
È concessa l’articolarità attiva a catena cinetica chiusa (scivolamento del tallone sul lettino), lo stretching delle catene cinetiche posteriori ed esercizi attivi di flessoestensione della caviglia.
Se le condizioni cliniche generali e locali lo consentono, dal terzo – quarto giorno post-intervento si procede con il passaggio alle canadesi con training alla marcia a tre tempi e poi al corretto schema del passo. Sempre in questi giorni il paziente viene istruito alla salita e discesa delle scale e si intensifica il lavoro muscolare non solo del quadricipite ma anche di altri distretti muscolari (polpaccio-adduttori-glutei).
La dimissione è prevista nella quinta giornata post-intervento se il paziente ha raggiunto gli obiettivi prefissati:
- corretta esecuzione dell’esercizio di rinforzo muscolare isometrico a gamba tesa
- flessione di 100° e completa estensione di ginocchio
- autonomia nell’alzarsi e rimettersi a letto
- autonomia nello svolgimento delle AVQ semplici
- deambulazione con canadesi senza zoppia di fuga
- autonomia della salita/discesa delle scale.
Il paziente continua con la cpm per due settimane: l’obiettivo è raggiungere i 110° di flessione alla fine della seconda settimana. Nel corso delle settimane successive vengono gradualmente introdotti esercizi a catena cinetica chiusa (leg-squat e leg press con ROM 0° – 60° – 90°) e a catena cinetica aperta (tenuta isometrica sulla leg-extension e poi con ROM 0° – 30° per attivazione selettiva del vasto mediale), rieducazione propriocettiva bi- e monopodalica su superfici instabili (a difficoltà crescente, ad occhi aperti e chiusi, prima senza e poi con perturbatori esterni, sempre sotto la supervisione del terapista) e percorsi propriocettivi con superamento di piccoli ostacoli.
Il paziente protesizzato di ginocchio riferisce una storia più o meno lunga di disturbi della deambulazione, causati dal dolore ingravescente e dalla progressiva rigidità artrosica. Nel corso di questi anni ha assunto un atteggiamento viziato in flessione del ginocchio e dell’anca, sia in ortostatismo che in clinostatismo, con tutte le inevitabili ripercussioni anche sulla colonna vertebrale.
Dopo l’operazione, il fisioterapista deve correggere questi scompensi posturali: si lavora sulla mobilizzazione passiva della rotula per evitarne retrazioni articolari e per svincolare tutto il complesso estensorio, sull’allungamento muscolare e il rilasciamento degli ischiocrurali, del tensore della fascia lata, della bandelletta ileotibiale e del complesso gastrocnemio – tendine di Achille.
Il prolungato disturbo della deambulazione ha portato anche ad un’ipotonotrofia non solo del quadricipite, ma anche dei muscoli stabilizzatori di bacino, la cui debolezza contribuiva alla zoppia lamentata dal paziente. Pertanto, nella stesura del protocollo riabilitativo deve essere posto l’accento anche al rinforzo di questi gruppi muscolari già nelle primissime fasi.
Il riabilitatore deve pensare ad una pain-free rehabilitation: il controllo del dolore diventa parte essenziale per la progressione della fisiochinesiterapia e per la compliance del paziente nei confronti di un programma di mediolunga durata (almeno 8 settimane). Durante tutte le fasi del percorso riabilitativo, il fisiatra può avvalersi della terapia farmacologica analgesica e/o antinfiammatoria più appropriata in base alle comorbidità del paziente e all’eventuale assunzione di altri farmaci, oltre che della terapia fisica strumentale come tecarterapia, laserterapia ad alta potenza, tens, Ionoforesi, ultrasuonoterapia, magnetoterapia, in base al caso clinico in questione.
(by Top Physio)